Autore: Giacomo Colombo (Este 1663 – Napoli 1731)
Soggetto: Pietà (1696 – 1703)
Tecnica e materiali: scultura in legno policromo
Dimensioni: altezza circa 200 cm.
Collocazione attuale: Eboli, Collegiata di Santa Maria della Pietà
Soggetto: Pietà (1696 – 1703)
Tecnica e materiali: scultura in legno policromo
Dimensioni: altezza circa 200 cm.
Collocazione attuale: Eboli, Collegiata di Santa Maria della Pietà
Il gruppo scultoreo in legno policromo della Pietà è ritenuto il capolavoro assoluto del grande maestro Giacomo Colombo. Ha forma piramidale e presenta il corpo di Cristo deposto dalla croce e adagiato sui gradini dove siede Maria che, alle sue spalle, lo mostra ai fedeli con gesto eloquente. Ai lati dei personaggi principali vi sono due angeli che sorreggono gli strumenti della passione: la lancia che trafisse il costato di Cristo, la canna con la spugna imbevuta di fiele e il flagello. Alle spalle dei personaggi principali vi è la lastra tombale del Santo sepolcro sormontata datre cherubini e la corona di spine.
Fino al giugno 2005 l’unico documento che riferiva il pieno pagamento del gruppo ligneo colombiano della PIETÀ di Eboli era un’attestazione del 17 dicembre 1709, conservata presso l’Archivio Parrocchiale della Collegiata di Santa Maria della Pietà in Eboli, sottoscritta dal Colombo e da don Antonio De Clario riguardante anche il pagamento del "rame seu stampa" di mano del Colombo stesso, incisione fatta eseguire a Napoli come immagine devozionale, consona al culto della Pietà. Si credeva che fosse stato il primicerio, Don Antonio De Clario, ad aver stipulato il contratto con il Colombo. La cronologia della statua veniva così a porsi tra il 1698, data e firma posta dallo scultore sulla base dell’opera, e il 1703-1704, quando fu consegnata alla chiesa Collegiata e alla popolazione di Eboli. Nel 2005 Gian Giotto Borrelli ha trovato importanti documenti: il primo è il contratto tra Giacomo Colombo e don Francesco Antonio Favale, cantore della Collegiata di Santa Maria della Pietà di Eboli, datato 31 marzo 1696, che è il vero atto ufficiale di commissione dell’opera allo scultore da parte del clero della Collegiata di Eboli. Esso retrodata l’opera, che fu iniziata nel 1696 e finita entro il 1702-1703.Il secondo documento è del16 dicembre 1704 e riguarda l’attestazione del pagamento dell’opera, con allegate le perizie del luglio 1703, da parte di tre esperti artisti, amici del Colombo: Giacomo Bonavita, Vincenzo Ardia e Domenico Di Nardo, la cui attività è ancora documentata a quella data, stabilendone il prezzo in ducati 1.250. Giacomo Colombo però rinuncia a 450 ducati sul costo periziato «a titolo di donazione irrevocabile» alla chiesa Collegiata di Eboli. Si tratta di un gruppo ligneo che iconograficamente è ispirato al motivo della PIETÀ e che trova le proprie origini nella scultura lignea del Nord Europa, soprattutto in area Germanica. In Italia l’iconografia della Pietà si diffuse a partire dalla seconda metà del XV secolo. Il tema sacro ebbe notevole successo e fu Michelangelo Buonarroti ad eseguire il più straordinario e celeberrimo gruppo marmoreo: la Pietà in San Pietro in Vaticano. Colombo, dal punto di vista plastico-geometrico e volumetrico, certamente ha ben presente l’opera del Buonarroti. Ma la propria interpretazione è del tutto personale e si richiama anche alla Pietà (1616-1617) lignea di Gregorio Fernandez nel Museo Nacional de Escultura di Valladolid, in Spagna. La scultura lignea colombiana nella sua composta devozionalità si presenta con un impianto classico, evidenzia cioè una moderata linea classicheggiante legata strettamente alla scultura lignea, sia per la scelta del materiale che per la policromia. Vi sono nell’opera riferimenti anche alla devozionalità spagnola dei pasos processionali, soprattutto in relazione alla liturgia e alle ritualità pasquali.Nel contratto dell’opera, 31 marzo 1696, Colombo afferma: «...prometto di fare a proporzione di d.ta figura [la Madonna] due angiolotti piangenti che portano li misteri della Santa Passione, e contemplativi in essi misteri,...». Colombo riuscì sempre nonostante la svolta verso modi arcadico-rococò del 1708-1709, a produrre opere in cui è presente un formale equilibrio classico di base, unito a un sostanziale naturalismo realistico, più o meno accentuato a seconda della opere. Infatti, l’artista ha sempre saputo coniugare la propria arte con quanto richiesto, di volta in volta, dai propri clienti, trovando sempre un punto di contatto e di equilibrio tra la propria vena creativa e le esigenze devozionali e di culto volute dal clero. Per questo le proprie opere non scendono mai al livello della pura e semplice serialità. E anche in ciò è forse il segreto del successo della propria produzione artistica. Nel 1897 il primicerio della Collegiata, don Michele Paesano, fece restaurare il gruppo della Pietà, in parte aggredita dai tarli, affidandone i lavori all’artista napoletano Raffaele Delle Campe. Nel 1898 si celebrò il secondo centenario dell’opera e ci fu una grande festa nella terza domenica di settembre, cara al Dolore di Maria. La Madonna fu poi incoronata con una corona d’oro al cui acquisto concorsero gli Ebolitani: era il 30 maggio 1920. Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1984 ignoti vandali trafugarono, sfregiando il gruppo scultoreo ligneo, i due angeli dolenti con gli strumenti del martirio di Gesù e il gruppo di tre teste di cherubini al di sopra della lastra tombale.
testo di Gerardo Pecci
Autore: Giacomo Colombo (Este 1663 – Napoli 1731) Soggetto: San Fedele da Sigmaringen (circa 1690) Tecnica e materiali: scultura in legno scolpito e dipinto Dimensioni: altezza circa 170 cm. Collocazione attuale: Eboli, Convento di San Pietro Apostolo, Cripta di San Berniero. |
Il Santo è in piedi. Indossa il saio francescano, ma non ha l’aureola. E’ in atto di mostrare ai fedeli il Crocifisso tenuto con la mano sinistra mentre con l’indice della mano destra lo indica. Il volto è barbuto e la testa è leggermente inclinata e ruotata verso destra. Gli occhi di vetro conferiscono al volto un notevole senso di verosimiglianza e aderenza alla realtà. Lo sguardo è concentrato e intenso. Il saio è cinto in vita dal cordone francescano. La resa plastico-anatomica è molto curata nei particolari. La figura del santo poggia su un basso parallelepipedo ligneo riportante il cartiglio con il nome del santo, quello dello scultore e la data.
Nella Cripta di San Berniero all’interno del convento di San Pietro Apostolodi Eboli del ramo francescano dei frati Cappuccini, denominato popolarmentecome Convento di“San Pietro alli Marmi",si conserva una significativa statua in legno policromo di San Fedele da Sigmaringen che fu commissionata nell’ultimo decennio del Seicento al celebre scultore Giacomo Colombo, a Napoli. Insieme ad essa i frati commissionarono anche la statua “gemella" di San Felice da Cantalice, ora conservata nel Convento dei frati Cappuccini di San Felice, a Cava dei Tirreni ove fu trasferita all’incirca negli anni sessanta del XX secolo. Non sappiamo per quale ragione la statua di S. Felice fu trasferita da Eboli al Convento di Cava dei Tirreni.Alla fine del Seicento i frati francescani cappuccini erano però ubicati nel Convento di Sant’Antonio Abate in Eboli. L’intento dei frati fu certamente quello di celebrare due eminenti esponenti del proprio ordine religioso. La statua di San Fedele da Sigmaringen risponde perfettamente ai canoni stilistici e pietistico-devozionali improntati dalla iconografia cattolica post-tridentina. Infatti, il santo è rappresentato a grandezza naturale, in piedi, e chiaramente con l’indice della mano destra indica la croce di Cristo nell’altra mano, invitando i fedeli a meditare sul mistero della morte di Gesù. Il suo sguardo, attento e rivolto verso chi lo ascolta, invita tutti alla meditazione in un muto dialogo con tutti noi. La figura del Santo, vestito con il tradizionale saio francescano, poggia interamente sulla gamba destra mentre la sinistra è arretrata e flessa rispetto all’altra, degni echi della migliore statuaria classica di età greco-romana, il che ci porta a riflettere che Colombo conosceva bene la statuaria antica. Il San Fedele ricalca, quasi alla lettera, nella posa, nei modi coloristici e nella fisionomia, una statua di San Francesco d’Assisi attribuita alla mano del Colombo, conservata a Stigliano (Matera). Il Colombo è stato davvero un maestro nella resa naturale e quasi “dal vero" dei santi che egli scolpiva, aderendo ai principi della verosimiglianza tanto cari ai devoti gusti della committenza e del pubblico dei fedeli. Lo stato di conservazione dell’opera d’arte non è certo dei migliori. La statua di San Fedele ha bisogno di interventi di restauro conservativo, per poterla salvare dall’incuria del tempo e dagli agenti ambientali.
Autore
Giacomo Colombo (Este 1663 – Napoli 1731) fu scultore in marmo, legno policromo, stucco. Fu anche pittore. Nel 1701, lui che era scultore, divenne prefetto della Corporazione dei Pittori di Napoli. E’ il più significativo artista a Napoli nella lavorazione del legno intagliato e dipinto tra la seconda metà del XVII secolo e il primo trentennio del Settecento. Fu in stretti rapporti amicali e professionali con Francesco Solimena. Le sue apprezzate sculture sacre in legno policromo si trovano in molte chiese italiane, soprattutto nel centro-sud, e in Spagna.testo di Gerardo Pecci