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Dalla stazione al Municipio, passeggiando nel tempo
Dalla stazione al Municipio, passeggiando nel tempo
Mercoledì, 22 Dicembre 2021 00:00 - Venerdì, 31 Dicembre 2021 00:00

C’è un treno che arriva, è partito da qualche stazione lontana del nord e in un tempo che non conosciamo. C’è un treno che attraversa il tempo e le stagioni, e che ora è fermo proprio qui, alla stazione ferroviaria. E poi c’è un passeggero che scende, si ferma sulla banchina ed alza lo sguardo verso il cartello su cui è scritto: Eboli. 

È una scena che abbiamo visto, immaginato e sentito tante volte. Quel passeggero può avere il volto di Gian Maria Volontè, nel celebre film di Francesco Rosi, Cristo si è fermato a Eboli. Ma può avere anche il volto di ciascuno di noi, se per qualche minuto ci concediamo la possibilità di una passeggiata nel tempo. 

Una città è fatta anche di segni e memorie, di echi che rimandano a giorni lontani, di eventi che hanno segnato gli anni e che lasciano tracce indelebili nelle strade e nelle persone, come in una archeologia silenziosa tutta da scoprire. 

Chi c’era ad Eboli, prima del Cristo? 

Se fossimo in un giorno di luglio del 1935, il nostro passeggero, incuriosito dal fervore dei cittadini che s’affrettano a raggiungere lo stadio, incapperebbe nel delirio fascista e forse in uno dei discorsi più emblematici di tutto quel vortice nero: il discorso del Me ne frego, pronunciato da Benito Mussolini, proprio lì, a pochi passi dalla stazione. 

Allontaniamoci, direbbe il nostro passeggero. E ora sta già risalendo lungo il tragitto di Viale Amendola. Poche case, molta polvere, e il vento, tutto intorno, fa volare fogli di giornali. Ecco, ne prende uno: Il Giornale di Eboli. E poi un altro, Mondo Operaio. E un altro ancora, si intitola Rinascita, ma nel titolo compaiono solo le prime tre lettere – RIN…… come a indicare un processo in corso, una rinascita tutta da costruire –. È un vento bizzarro, che soffia da anni lontani e differenti e, tutte insieme, porge al visitatore pagine della vita intellettuale di questo posto, di Eboli. 

All’altezza di Via Nobile c’è la bottega di un calzolaio. Se ti soffermi sull’uscio puoi sentire discorsi di storia, filosofia, politica. Ma sì, è la bottega di Mario Garuglieri, un confinato politico, un intellettuale magnifico. A Turi, in carcere, la sua cella era proprio accanto a quella di Gramsci. 

Ma adesso sembra di sentire il trotto di un cavallo. Ci sporgiamo anche noi, col nostro viaggiatore, e vediamo un distinto signore, con guanti e cappello alla moda inglese, impeccabile nell’andatura: è Dino Philipson. È stato un deputato liberale negli anni venti, che in un primo momento aveva aderito al fascismo. Ora è qui, anche lui al confino, ma non ha mai perso il suo atteggiamento autoritario – anche il podestà ha un po’ timore di lui! 

In piazza della Repubblica, due edifici nuovissimi e moderni, sono il vanto della città. Sarebbero scuole, divise in sezione femminile e maschile, ma in questi giorni sono occupate da milizie fasciste che si preparano a partire per la guerra di Spagna. La spavalderia e l’arroganza le rendono padrone del posto e le persone, soprattutto le donne, sono chiuse in casa per non rischiare di subire molestie. Anche Assunta, la maestra, evita di passare di qui e torna a casa. Ha appena ordinato un paio di scarpe da Garuglieri. Sono un regalo per suo figlio Abdon Alinovi. 

La città vive ancora nella parte antica, che in un rivolo di vichi e vicoletti porta fin su, al Municipio. Da qualche parte, sotto una finestra, si sentono voci. Il viaggiatore si sofferma: è in corso una riunione del Comitato di Liberazione Nazionale di Eboli. Ora al governo c’è Badoglio, ma l’Italia è ancora tutta da rifare. E in quella stanza – anche in quella stanza – la democrazia sta riprendendosi i suoi spazi. 

Chi si nasconde dietro quelle porte? E quante altre storie si intrecciano tra le strade, sotto i palazzi; quali voci è possibile sentire se ci si sintonizza sulle frequenze di una passeggiata nel tempo? 
Cercheremo di scoprirle insieme, una per volta, nel corso dei prossimi articoli – e delle prossime passeggiate. Perché una comunità è anche l’insieme di tutte le piccole storie che l’hanno preceduta. E in quelle piccole storie, spesso, riconosciamo un pezzo di noi. 

Giuseppe Avigliano

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