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Nella bottega c’è un calzolaio che vuole aggiustare l’Italia
Nella bottega c’è un calzolaio che vuole aggiustare l’Italia
Martedì, 15 Marzo 2022 00:00 - Giovedì, 31 Marzo 2022 00:00
Chi ripara le suole, chi rinforza il cuoio, chi modella nuove scarpe, non dovrebbe essere un pericolo per il regime fascista. Non reggono proprio le proporzioni: da una parte il superuomo energico, rigoroso e incorruttibile, dall’altro un umile artigiano che ripara scarpe. Eppure uno dei primi nemici del fascismo è stato proprio lui, un ciabattino.

Mario Garuglieri era nella sua bottega, a Firenze, un giorno come tanti altri del 1921. Al governo si alternavano l’ultimo Giolitti e il primo Bonomi. Da poco c’era stato il congresso di Livorno e la nascita del partito comunista, al quale aveva aderito. Quel giorno, dunque, nella sua bottega entra un gruppo di squadristi fascisti – sì, c’erano già e stavano preparandosi, a modo loro, la strada verso il potere –.

Armati di rivoltelle e decisi a far male, così, per il solo piacere di affermare la propria cieca furia, Garuglieri, da solo, e allo stremo, riesce a difendersi con un trincetto e un colpo ferisce mortalmente un fascista.Segue un processo farsa (nessun avvocato si schiera contro i fascisti e i giudici, anche loro, sono già conniventi come un cancro che sta avanzando nel paese). Il risultato? 21 anni e 6 mesi di carcere.

Pochi mesi dopo inizia il governo più lungo che l’Italia abbia mai avuto. Basterà poco a capire che si tratterà di una delle peggiori dittature di sempre. Quegli stessi teppisti che picchiavano per il semplice piacere di farlo ora sono alla guida della nazione.Per Mario Garuglieri, invece, inizia una trafila di giri fra carceri: Firenze, Pianosa, Isola d’Elba, Lecce e Turi. Date le condizioni, si ammala di tubercolosi. A Turi, accanto alla sua cella c’è un detenuto, anche lui condannato a vent’anni di carcere, anche lui sempre più cagionevole e malato a causa della detenzione. È Antonio Gramsci.Dopo più di dodici anni, Garuglieri ottiene di uscire dal carcere. Non per andare a casa, ovvio. Per il fascismo si tratta ancora di un soggetto “pericoloso”, e quindi ora gli toccherà il confino. Cinque anni ad Agropoli. E poi, subito dopo, altri cinque ad Eboli. Sia per lui, sia per la moglie, Penelope. Quando Mario Garuglieri arriva ad Eboli ha 45 anni e corre l’anno 1938. Il fascismo è sul punto di emanare le leggi razziali, giungendo al culmine della sua follia sanguinaria. Il mondo è sull’orlo di una guerra.

L’unica licenza che viene concessa a Garuglieri è quella di svolgere il suo lavoro di calzolaio in un’umile bottega. In fondo, cosa vuoi che possa fare un calzolaio? Lungo quella che oggi chiamiamo Via Umberto Nobile, pochi passi sotto la piazza, la bottega di Mario Garuglieri, fin dall’inizio, aveva fatto parlare di sé. Innanzitutto era la bottega di un confinato; gli ebolitani avevano imparato a convivere con questa figura di prigioniero politico che era vista con un misto di curiosità e turbamento. Ma quella bottega era anche un laboratorio artigianale di grande professionalità, in cui chi aveva la possibilità avrebbe potuto commissionare scarpe nuove di ottima qualità.

Ce n’erano tante di botteghe, ma quella di Garuglieri, in qualche modo, aveva cominciato ad essere un punto cardine, il centro silenzioso intorno al quale qualcosa si muoveva. La voce era girata e i clienti aumentavano. Pur tra mille difficoltà Mario era sempre brillante e disponibile a trovare la soluzione giusta per i clienti. I quali non ci misero molto a capire che di fronte a loro non avevano un semplice ciabattino, bensì un formidabile intellettuale.La bottega divenne qualcosa di più grande: un rifugio dove conversare di Storia e Filosofia, un simposio culturale sempre stimolante e un centro di resistenza. Forse il primo vero centro di resistenza in tutta Eboli. Lì, a due passi dalla piazza, sotto gli occhi delle autorità fasciste che continuavano a rassicurarsi fra loro, nelle carte della burocrazia, che era tutto, ma proprio tutto, sotto controllo.

Così Garuglieri aveva creato una fittissima rete di contatti in città, ma non solo. Riusciva a essere informato su quello che succedeva in provincia, sulle mosse dei movimenti di resistenza in tutto il sud Italia e oltre e, grazie alla capacità di analisi politica e militare, era riuscito a prevedere anche alcuni dei più grandi cambiamenti in corso al tempo della guerra.All’inizio del 43’ su un treno diretto a Roma, la polizia fascista arresta Giuseppe Lojacono, un esponente del Partito d’Azione di Bari. Tra le carte che gli vengono sottratte spunta anche il nome di Garuglieri e di due donne ebolitane, Rosa e Irma Barbato, che vivono (guarda il caso!), proprio nel palazzo di Garuglieri, sullo stesso pianerottolo. Seguono giorni di intensi interrogatori, durante i quali la polizia mette in atto tutte le azioni possibili per cavarne qualcosa. Ma nessuno parla: non Garuglieri, né Rosa né Irma. Alla fine un verbale dei carabinieri rassicura il fascio: “Garuglieri è soltanto un provetto artigiano con tante clienti importanti a cui fornisce il suo servizio a prezzi alti. Pensa a far soldi, insomma!” Pensa ad aggiustare l’Italia, si sarebbe potuto dire col senno di poi. E di lì a poco lo scenario cambia totalmente. A luglio di quello stesso anno Mussolini si dimette, il fascismo cade. Badoglio sale al governo e in piazza, ad Eboli, si riversa confusa tutta la popolazione. Che fare adesso? Garuglieri sa che c’è da aspettarsi un periodo altrettanto difficile: la guerra non è affatto finita, e sotto le bombe che stanno per arrivare c’è da costruire per intero un’unità politica antifascista e democratica.  Durante i bombardamenti, rifugiatosi a Campagna, sarà tra i primi a organizzare i soccorsi e a distinguersi per la capacità di organizzazione. Intanto gli alleati sbarcano a Paestum, a soli pochi chilometri da Eboli. Gli ebolitani corrono sull’Ermice a guardare increduli la guerra che si muove sulla linea dell’orizzonte.

Inizia una fitta e complicata politica di sintesi per dare alla città un primo sindaco, e la scelta che ricadrà su Raffaele Romano Cesareo sarà promossa proprio da Garuglieri.In questa fase, nella quale socialisti, comunisti, azionisti, liberali, democristiani e tutte le figure dello spazio antifascista provano a ritagliarsi un ruolo nella nuova stagione politica, Garuglieri riesce a guardare al disopra delle semplici logiche di partito, invocando più volte un’unità fondamentale e urgente.A inizio del ’44, Salerno diventa capitale d’Italia ospitando il governo Badoglio, prima, e quello Bonomi, poi, fino al luglio dello stesso anno. Un breve periodo, ma di grandissima importanza nella transizione dal regime fascista alla prossima nascita della Repubblica. E quindi da Eboli, ultima frontiera del progresso, per qualche mese a un passo dalla Capitale, Garuglieri, ormai riconosciuto e ben accolto da tutti, contribuisce in maniera preziosa nel cammino verso la democrazia.Negli anni successivi tornerà a Firenze, sua terra d’origine, con grande dolore di tutti coloro che dopo averlo conosciuto si riterranno sui discepoli. E lì continuerà il suo percorso politico, tra delusioni e grandi battaglie. Ma non durerà molto, purtroppo.

Al suo fianco c’è sempre stata Penelope. Forzatamente lontana, durante i quasi tredici anni di carcere, e vicina, nei successivi dieci di confino. In tutto questo tempo di persecuzione e serrato controllo fascista, Penelope lotta strenuamente contro un tumore (diagnosticato nella sua fase iniziale) che le prenderà via gran parte delle sue energie.Legati in vita, giorno per giorno, lo saranno anche nel momento del  congedo. Nel ’52, allo stremo delle forze, Penelope morirà. Solo un anno dopo, la seguirà Mario. Non resistono che pochi anni, dopo la tortuosa vita che il fascismo gli aveva imposto.Intanto la Costituzione aveva messo al sicuro la Nazione, ora le nuove generazioni avrebbero potuto vivere liberi da ogni dittatura. Sono passati ottanta anni. Via Umberto Nobile è cambiata, ci sono nuovi palazzi, nuovi negozi. Eppure, ogni tanto, passando di lì, l’odore delle pelli, il suono di un utensile, le conversazioni nascoste della bottega di Garuglieri, sembra che fuoriescano da qualche spiffero, che tornino per le strade, affinché la Storia non dimentichi i giorni difficili di un ciabattino, che sapeva modellare le scarpe, ma riuscì ancor meglio a salvare una nazione.

Giuseppe Avigliano

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