"Il Sele è un fiume della Lucania, il porto Alburno e il monte dello stesso nome si trovano al sesto miglio dalla Prime Taverne. Ne fa menzione Lucilio in questo verso: Da qui il porto di Picentia sono quattro miglia verso il fiume Silaro e il porto Alburno."
È questa la prima testimonianza sull’esistenza del porto Alburno, del poeta Lucilio in un verso conservatoci da Probo Grammatico, allorché commentò dei versi di Virgilio nelle "Georgiche" facenti riferimento all’Alburno.
Si tratta di un porto fluviale romano che sorgeva lungo le sponde del fiume Sele e rivestiva senza dubbio una funzione primaria per la circostante valle. La Piana del Sele era una terra ricchissima, ben conosciuta e apprezzata dai popoli per le sue preziosissime risorse: i Greci vi fondarono Poseidonia, un insediamento stabile e prospero che incise profondamente sull’assetto di tutto il territorio, sfruttando tutte le potenzialità della pianura, rappresentate soprattutto dal fiume Sele. E lo stesso seppero fare i Romani, tramite la costruzione di strade ed approdi fluviali, come appunto il famoso porto Alburno, una struttura che continuò ad essere attiva fino al Medioevo. Il porto veniva utilizzato come importante punto di scalo ed era pertanto funzionale allo sviluppo commerciale dell’area del Sele con le zone vicine e non: da qui partivano imbarcazioni e qui le stesse confluivano per consentire non solo lo scambio di merci, ma anche l’arrivo e la partenza dei viaggiatori. I traffici erano sia interni che esterni, per attività mercantili a più ampio raggio, in quanto facilitava lo scambio commerciale dei prodotti provenienti dalla Lucania e da altre regioni da una parte e dalla Calabria e dalla Sicilia dall’altra. Permetteva, per esempio, alla città di Eboli di esportare legname (i boschi del Cilento erano rinomati) ed altro e di importare merci e derrate.
Le acque del fiume, nell’antichità, erano una risorsa fondamentale per lo sviluppo di un territorio. In genere la navigazione passava dai fiumi ai grandi e piccoli laghi (o paludi e lagune costiere). Quando il fiume veniva risalito, il carico di merci veniva trasferito su barche più piccole che potevano addentrarsi anche in tratti più stretti. Si trattava di battelli di cui non si conosce bene la forma, ma certamente adatta alla navigazione fluviale e allo stivaggio delle merci. Dovevano essere prive di vela ma avevano una serie di alberi utili per collegare le funi del traino animale e per caricare merci. Avevano due timoni per la manovra nella fase di risalita e in quella di discesa, il fondo era piatto per consentire la navigazione anche nei tratti meno profondi. Conosciamo diversi nomi che indicavano queste imbarcazioni: l’acazia, il pinco, la zola, il bucio, la salandria, la gerba, il carabio, la cocca, la luntra, ma la più rinomata era, senza dubbio, la scafa.