Il complesso archeologico Quartiere Artigianale, detto de "Le Fornaci Romane", è situato su un forte pendio alla periferia di quello che doveva essere il nucleo abitato della antica Eburum, ai piedi del Montedoro, ed ai bordi di un lastricato, che gli storici ritengono possa essere la vecchia Via Popilia (la strada che collegava Capua a Reghium). Il sito fu riportato alla luce grazie agli scavi effettuati dall’archeologo francese Jan Maurin nella metà degli anni '70 del secolo scorso, su iniziativa della Sovrintendenza alle Belle Arti di Salerno, scavi che si resero necessari a seguito del ritrovamento di reperti archeologici rinvenuti nel giardino della chiesetta del XVIII sec. dei SS. Cosma e Damiano e che dà il nome all'intero sito.
Nel complesso archeologico sono visibili e visitabili i resti di un Quartiere Artigianale composto da tre fornaci, due delle quali pertinenti alla stessa officina. Delle tre fornaci che costituiscono il complesso archeologico, la prima, più piccola per dimensioni, è perfettamente conservata e presenta tutte le caratteristiche della fornace tipo. Di forma rettangolare misura m 1,50 x 1,30, il piano forato presenta 26 fori e poggia su pilastrini d’argilla, ha il pavimento in argilla battuta, l’ingresso della camera di combustione, anch'esso integro è ogivale. La seconda di forma quadrangolare, misura m. 3,20 x 2,00 ed ha la camera di combustione divisa in due da un pilastro centrale. L’ingresso della camera è realizzata in mattoni irregolari, con la volta (distrutta e non più visibile) sorretta da due piastrini. La terza, meno conservata delle altre, aveva una forma allungata, con un grande corridoio m. 6 x 1,50. La camera di combustione aveva probabilmente due entrate simmetriche. Questa struttura era anche dotata di un’intercapedine per la circolazione dell’aria calda. Lo studio eseguito sui reperti rinvenuti all’interno dell’area, fanno risalire l’impianto iniziale delle strutture tra la fine del IV ed il III sec. a.C.
Due delle fornaci erano impiegate per la cottura di statuette e terrecotte architettoniche, la terza per la cottura di tegole e mattoni; a queste strutture, si aggiunse nel corso del II sec. a.C. l’officina di un fonditore di metalli, testimoniata dal ritrovamento di piccoli attrezzi da lavoro in ferro. La pendenza del terreno lascia presupporre che il muro di fondo originario di questa officina, servisse anche da terrazzamento al terreno sovrastante. Nell’intercapedine del rafforzamento di questa parete, durante gli scavi furono rinvenute dodici monete romane repubblicane della serie della prora, databili tra la fine del III e la prima metà del II sec. a.C. L'officina è costituita da due edifici affiancati, entrambi suddivisi in due ambienti da un muro trasversale attraversato da una canaletta di scolo, che venne trovata carica di residui di combustione in particolare ferro e piombo. Alla parete di fondo erano addossate due grosse dolie. Tra la tarda età repubblicana e l’età imperiale il quartiere artigianale viene assorbito nell’espansione dell’abitato e sistemato con opere di terrazzamento e sostegno, affiancato da strutture abitative e servito da una strada lastricata e da un sistema di fognature. L’impianto non era più in uso e in parte crollato già nel IV sec. d. C., dopo l’abbandono prodottosi in epoca tardo-imperiale, la zona viene nuovamente frequentata, modificando chiaramente la sua destinazione d’uso, solamente nel XIII secolo, a quest’ultima fase è ascrivibile una gran quantità di ceramica invetriata, con decorazione varia.